Angela ed io ci siamo guardate negli occhi e ce lo siamo confessate. E’ sempre stata la nostra fobia. Dal precariato finire in mezzo alla strada. Non a fare le prostitute s’intende (la dignità ha sempre un prezzo più alto) ma le barbone. Ritrovarsi a dormire una notte di inverno, a 10 gradi sotto zero, sotto i cartoni in un angolo semi riparato della stazione o a fare la spesa nei cassonetti della spazzatura insieme ai cani randagi fa paura, proprio perché è un’esperienza, allo stesso tempo, così lontana e così vicina
Basta poco. Per perdere tutto, le poche certezze quotidiane e ritrovarsi a dormire su una panchina al parco con solo due litri di alcol a riscaldare le vene. Una scelta sbagliata. Un carattere fragile, un colpo di testa, la solitudine, una rottura con la famiglia, una malattia, avere la pelle di un colore diverso. Basta poco. C’è chi inciampa e la vita non gli regala niente, c’è chi invece come i punkabbestia quella vita se la scelgono per spirito anarchico (forse perché sanno che possono sempre tornar indietro).
Ma chissà quale travaglio di sofferenze si nasconde dietro ad ogni barbone.
A Rimini c’è la Capanna di Betlemme. E’ un’associazione di volontariato che raccoglie due volte al giorno i senza tetto dalle strade. Li accoglie li veste, li cura, li nutre, offre loro un letto per la notte e, per chi vuole, inizia un programma di reinserimento sociale.
Siamo andate nella loro casa famiglia a …., abbiamo raccolto alcune testimonianze. In genere non amano parlare del loro passato. Ne sono usciti questi piccoli ritratti.
Fabrizio ha sessant’anni. E’ nato a Foggia ma ha sempre vissuto tra Torino e Bari. E’ sposato. I suoi figli vivono a Torino. Non li vede da tanto tempo. Non vuole farsi vedere in queste condizioni. Lo hanno trovato in stazione, in stato critico, e così, dopo l’ospedale lo hanno portato qui. Qui si trova bene. Sono due mesi e mezzo che ha eliminato l’alcol. Prima beveva Tavernello tutto il giorno, non mangiava più e viveva facendo l’elemosina. Ha avuto una vita burrascosa, compresi problemi con la giustizia, ma non ha mai fatto del male a nessuno. Ha sofferto molto, vivendo per strada e dormendo sulle panchine. Ha anche vissuto per un po’ in un’altra comunità: a Chieti. Ora vuole rimanere qui, per far contenta sua madre che in vita ha fatto tanto per lui.
L’alcol gli ha purtroppo danneggiato l’uso della vista, e non riesce più a leggere. Passa il suo tempo a giocare ai solitari con le carte.
Maria ha cinquantadue anni. E’ romana. La nonna era proprietaria di alcune terre nel Lazio, con mucche e tori. Maria ha questo ricordo dell’ infanzia trascorsa in campagna: era vestita di rosso, un toro voleva incornarla mentre lei andava incontro al padre, e il cane l’ha salvata. E’ stata abbandonata dalla madre a sette anni. A nove anni il padre la mise in collegio. Poi, insieme al padre e alla sorella emigrarono in Germania. Lavorava come impiegata, scriveva a macchina, con un’ «Olympia», e faceva consegne. A vent’anni è ritornata in Italia perchè rimasta senza lavoro e permesso di soggiorno. Ora ha un figlio di ventinove anni e non lo vede da otto, lui non la vuole neanche sentire al telefono. Prima risiedeva da una persona anziana, lavorando come badante, poi quando è morta l’hanno mandata via. Ha vissuto nella sua macchina fino a quando la polizia l’ha fermata ad un posto di blocco sequestrandole il mezzo. In seguito è andata alla Caritas, ma senza trovarsi a proprio agio: c’erano troppi extracomunitari, e qualcuno le ha anche rubato dei soldi. Qui, alla casa di Betlemme, sta benissimo, dice che è il paradiso terrestre e che è «er più». Ha la passione per il lavoro a maglia e l’uncinetto, ha un suo armadietto pieno di gomitoli. Le piace fumare sigarette e giocare a scala.
Armando parla poco, sta sempre seduto su una sedia in cucina (sala comune dove operatori e ospiti mangiano insieme). Porta un cappello e ha sempre le mani in tasca. Ha un cassetto privato con l’etichetta «Armando», dove c’è tutto quello che possiede. Guarda la televisione con gli altri, ma dietro la porta a vetri. Non ama parlare della sua vita perché è privata. Gli operatori hanno detto che è arrivato lì dopo venticinque anni di strada e alcol, ma potrebbe andarsene da un momento all’altro. E’ un uomo solitario, radicato alla sua libertà.
Michel, trentatrè anni, senegalese. E’ stato in ospedale; soffre di tubercolosi ai muscoli delle gambe, e vive sulla sedia a rotelle. E’ in Italia da quattro anni, ha vissuto prima a Parigi per sei mesi, e poi a Milano, convivendo con una donna. Dice che ha contratto proprio da questa persona la malattia alle gambe. Qui sta bene e fa la cyclette. Ci racconta che un suo vicino di casa del Senegal fa il calciatore, ed è diventato famoso in Italia. Mi ha chiesto il numero di telefono.
Boris ha sessantadue anni. Il suo compleanno è il diciannove novembre. Viene dalla Bielorussia. Faceva il muratore. Ha un aspetto forte e massiccio. E’in Italia dal 1997. Ha finito i soldi ed ha dormito sotto un ponte per settanta giorni. Ora la comunità è la sua seconda casa. Gli piace lavorare il legno e usare gli attrezzi. In Bielorussia vivono i suoi figli e i suoi nipoti.
N.B. I nomi sono inventati per proteggere la privacy delle persone intervistate.