Howe il ritorno dello sciamano

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Howe Gelb
Howe Gelb
Howe Gelb

Anni in cui c’era da perdersi, nella Grande Sabbia. Diciamo Novanta pieni, con coda nei primi Duemila. Musica nuova e antica, apparentemente casuale o quasi nel suo maritare con noncuranza le morbidezze del country e del jazz da crooner con tagli elettrici della tela degni d’un Fontana; pigra e noncurante come quella d’un Dylan che corteggi la Cowgirl (ovviamente in the sand) di zio Neil in mezzo a una pioggia d’elettroni impazziti. Culto dei culti, ai margini del deserto dell’Arizona, amore pericoloso da scoprire alzando i sassi dell’ovvio, seguendo il sonaglio di un crotalo e il magnifico rumore delle valvole in crisi. Robe da far sbilanciare sui superlativi anche Pj Harvey.

E poi i dischi da solo, di maestro Howe. Dapprima un folk surreale, geneticamente mutato eppure più vero e sincero verso il cuore della tradizione di tanti bozzetti in buona calligrafia. O magari i solo-piano come quelli d’un Monk alticcio, in versione entertainer da ristorante-bene, infatuato dei sussurri di Lou Reed e di parole scritte a mezz’aria, con una poesia d’altri tempi.

Se mai la parola «geniale» è stata usata con profitto e senza esagerazioni, potrebbe esser stata una delle volte che l’abbiamo usata per Howe. Che, by the way, ha sempre fatto tutto questo dandogli pochissima importanza e ancor meno enfasi. Poi metà gruppo che scappa e diventa famosissimo come Calexico, poi tutti i protetti che, più del maestro, imparano a coniugare buone idee e appeal commerciale (Grandaddy, M Ward), poi un decennio di ispirazione valida ma più vicina a moduli tradizionali, e sullo sfondo quella solita tendenza all’auto-sabotaggio tipico di chi prova allergia nel dare troppi punti di riferimento. Nel frattempo tanti, tantissimi passaggi in Romagna. Da solo, con John Parish, redivivo con Convertino, con tutti i Giant Sand in versione danese. Adesso manca da un po’, e per fortuna torna ai Malfattori, quasi in famiglia. Con la barba lunga e bianca, che quasi pare avere preso sul serio il ruolo di «padrino dell’alternative country» che da anni tutti gli affibbiano.

Il disco nuovo è bello, un’altra tappa nella ricerca di un baricentro (im)possibile fra tutti gli americanismi sonori che – come lui – non hanno ancora ceduto ai cliché. Lui avrà il cappello. A noi verrà spontaneo togliercelo, come sempre. (antonio gramentieri)

23 febbraio, HOWE GELB feat. STEVE SHELLEY

Poggio Berni (RN), Circolo Malfattori, via Santarcagiolese 4603, ore 18

Info: 393 9496642