Gestualità ridotta quasi a zero, modulazione delle risorse vocali apparentemente inesistente, totale annichilimento dei mezzi espressivi. Inoltre, «pur ispirandosi alla cultura popolare, nei suoi spettacoli sembra rifiutare la manipolazione della relazione con il pubblico, che è l’aspetto più specifico dell’arte dei raccontatori di tradizione orale», come ha scritto una decina di anni fa l’arguto Guido Di Palma.
Traduzione, per i non addetti ai lavori: Ascanio Celestini in scena sta quasi sempre fermo e parla in maniera un po’ monotona. Non c’è alcun effetto speciale e nemmeno “gioca” con il pubblico.
Detta così: una noia mortale.
E invece.
Invece, molti già lo sanno, Celestini è un attore inusuale, eppure efficacissimo: uno dei grandi mattatori del teatro italiano di questi anni, capace di mettere d’accordo il pubblico più pop , la critica più puntigliosa e gli studiosi più paludati.
Celestini, in Discorsi alla nazione, immagina «alcuni aspiranti tiranni che provano ad affascinare il popolo per strappargli il consenso e la legittimazione. Appaiono al balcone e parlano».
Quando si entra in sala, a mo’ di prologo, un tappeto sonoro riproduce le voci della storia: Mussolini, Mao, Kennedy, Andreotti, Craxi, D’Alema, Berlusconi e Grillo – il capo arringa il suo popolo.
Si parla di politica e di potere, insomma. Temi centrali, in teatro, almeno da venticinque secoli, giorno più giorno meno. Che in scena ci siano una commedia di Aristofane o un attore-narratore come Dario Fo, Marco Paolini o Marco Baliani. O un esponente del contemporaneo più concettuoso come Marco Cavalcoli dei ravennati Fanny & Alexander col recentissimo Discorso Grigio. Poco cambia, in un certo senso: si tratta, anche se in modi estremamente diversi, di potere e politica.
Ascanio Celestini, da par suo, spiega: «Il tiranno è chiuso nel palazzo. Non ha nessun bisogno di parlare alla massa. I suoi affari sono lontani dai sudditi, la sua vita è un’altra e non ha quasi nulla in comune con il popolo che si accontenta di vedere la sua faccia stampata sulle monete. Eppure il tiranno si deve mostrare ogni tanto. Deve farsi acclamare soprattutto nei momenti di crisi quando rischia di essere spodestato. Così si affaccia».
Il rischio di queste operazioni, secondo noi, è sempre lo stesso: costruire un meccanismo auto-consolatorio secondo il quale “i cattivi” sono invariabilmente altri, e noi non si è che vittime impotenti.
La proposta performativa di Celestini, invece, pare interrogare la questione anche da un altro, fecondissimo, punto di osservazione: l’autore del discorso (uomo politico, tiranno o narratore poco importa, ora) è messo in luce nella sua «necessità di fondare il posto da cui parla», come direbbe il gesuita francese Michel De Certeau. È guardato nella sua costitutiva relazione con l’ambiente circostante, con la polis: elemento che lo accomuna a tutti gli umani, potenti e non, tiranni o meno. Fattore che lo rende uguale al mio vicino di casa, e a me.
È esattamente da questo punto di vista, propriamente politico, che ci accingiamo ad assistere a Discorsi alla nazione.
Per chi volesse saperne di più, si segnalano due ghiotte occasioni di approfondimento: un’anteprima allo spettacolo, a cura del professor Giovanni Maroni (venerdì 10 gennaio alle 20.15) e un incontro con Ascanio Celestini, il giorno dopo alle ore 18.00.
MICHELE PASCARELLA
Discorsi alla nazione – di e con Ascanio Celestini – Teatro Bonci, piazza Guidazzi – Cesena – da giovedì 9 a sabato 11 gennaio 2014, ore 21; domenica 12 gennaio 2014, ore 15,30 – Info: 0547 355911 teatrobonci.it