Tre tesori in uno.
Alla faccia della crisi (non solo economica) che ammorba questi nostri tempi.
Primo tesoro: il Museo per la Memoria di Ustica.
Quando entri, rimani senza fiato. Una potente installazione dell’artista francese Christian Boltanski (autore che da sempre indaga con delicatezza il tema della memoria, individuale e collettiva), circonda i resti del DC9 abbattuto il 27 giugno 1980. In questo lavoro, le ottantuno vittime della strage sono ricordate da altrettante lampadine, che lentamente, come al ritmo di un respiro, si accendono e quasi (ma non del tutto!) si spengono. E già la zoé di questo “non del tutto” potrebbe bastare, a commuoverci. E invece. Tutt’intorno, ottantuno specchi neri riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio, e dietro a ciascuno di essi un altoparlante emette frasi sussurrate (un po’ come gli umanissimi pensieri ascoltati dagli angeli ne Il cielo sopra Berlino, capolavoro di Wenders dell’87), che rammentano, con lieve implacabilità, la casualità della tragedia. Infine: nove grandi casse nere sono disposte intorno ai resti del DC9. In ognuna sono stati raccolti oggetti appartenuti alle vittime: scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti, invisibili agli occhi dei visitatori. Già questo primo, doloroso e potentissimo tesoro varrebbe da solo il viaggio a Bologna. Ma non è finita.
Secondo tesoro: la rassegna Dei teatri, della memoria.
È giunta alla quinta edizione la rassegna diretta da Cristina Valenti, che così ne sintetizza l’evoluzione: «Nella scena del Giardino della Memoria abbiamo visto riprodursi di anno in anno uno spazio di partecipazione attiva, a partire dalle domande sollevate dagli artisti, in nome di un impegno condiviso per la verità, la giustizia, la resistenza. Parole che ritornano anche quest’anno, unite da un filo che si snoda lungo la penisola, attraversando vicende più o meno lontane, per disegnare un affresco di memorie proiettate nel presente. Il viaggio in Italia ha per protagonisti ancora una volta artisti d’eccellenza della scena contemporanea, insieme a giovanissimi ai quali è consegnato il testimone del nuovo». Nell’edizione di quest’anno, sono stati presenti nelle scorse settimane, tra gli altri, il Teatro delle Albe, con il loro fortunato ultimo spettacolo corale Pantani, e l’ultraottantenne Judith Malina, fondatrice del mitico Living Theatre, che con la compagnia Motus ha presentato The plot is the revolution. E non è finita.
Terzo tesoro: Creature, di Michela Lucenti/Balletto Civile.
Il 24 luglio è stata la volta di Creature, evento site specific ideato ad hoc da Michela Lucenti, con musica originale eseguita dal vivo dalla violoncellista e compositrice canadese Julia Kent, danzato da Balletto Civile (e realizzato con la collaborazione di Bolzano Danza – Tanz Bozen). La coreografa ha così presentato il lavoro, che ha abitato i diversi spazi del Parco della Zucca, di fronte al Museo: «Una schiera di creature straordinarie accompagna e risveglia la memoria di altre creature. Esseri dormienti appisolati dalla routine, consapevolmente sdraiati su qualche certezza. Siamo svegli ma dormiamo ancora. Disarmati e sereni abbiamo piantato radici nascoste, covato pensieri non detti e fatti non visti, adesso, ora, ci si trova davanti a un passato noto. Possiamo alzarci, farlo davvero, almeno stavolta. Ognuno sa di sé, è un pareggio a fine partita, una resa dei conti tranquilla con i propri sospesi. La domanda comincia adesso. Quanto è lungo il tempo del risveglio? Suggestioni, insistenti loop musicali, visioni, veloci consigli che si liberano e risolvono in un atto comunitario tra creature della stessa materia. Come piume e lustrini di un vecchio show che hanno uno splendore opaco ma ancora bello. È adesso il tempo, lo sguardo è per noi».
Ma non è finita: subito dopo lo spettacolo, abbiamo chiacchierato per qualche minuto con Michela Lucenti su modi e motivi di questo lavoro.
Ascolta qui quello che ci ha raccontato.
Direbbe Mariangela Gualtieri, che il 10 agosto chiuderà il programma estivo, nell’ambito de La notte di San Lorenzo, ideata e curata da Niva Lorenzini: «Dire grazie, almeno».
MICHELE PASCARELLA