Il ginocchio di Gene

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Gene Gnocchi ha 58 anni, gli occhi affettuosi e un ginocchio fuori uso. L’infortunio potrebbe essere trascurabile per un fuoriclasse della divagazione surreale, ma diventa più serio per un calciatore professionista mancato, coi piedi buoni, che non ha «rinunciato all’idea di tirar calci al pallone ogni tanto». Lo dice con la faccia contrita di uno che è finito a fare tutt’altro ma ha ancora ben chiara la grande passione della propria vita.

Gene è diventato padre di nuovo, da pochissimi mesi. Ci congratuliamo per la splendida e sorprendente zampata in zona Cesarini, un attimo dopo temiamo di avere detto una cosa indelicata e allora buttiamo sul piatto che anche Bobby Solo è appena diventato padre di nuovo, a dieci anni esatti in più, dopo i supplementari, all’ultimo calcio di rigore di una lunga serie a oltranza. Gene sapeva, sorride e si complimenta con Bobby per il gesto tecnico.

Il gioco del pallone esce e torna nel discorso, filo rosso sottotraccia, madeleine d’un tempo mai perduto, parametro d’una passione vera che riesce a resistere persino alle discussioni interminabili della domenica catodica. Parlarne con lui dà il senso liberatorio di restituire dignità all’argomento.

«Il calcio è la cosa per cui ho maggior talento, la cosa per cui ero veramente portato. Ho sempre giocato in categorie alte, ho rischiato persino di finire al Milan. Ero bravo, ma un po’ lento. I piedi potevano essere anche da serie B, o persino A, ma ero un po’ lento». Se non sapessimo che è vero, potrebbe sembrare il prologo a una tirata delle sue, in cui la banalità pallonara viene scalfita a colpi di no sense. Alieno depistatore pensante fra opinionisti senza opinioni, Gnocchi è il last man standing della domenica sportiva sempre più orfana di humor e leggerezza.

Anche su questo è serissimo: «Il calcio vero finisce dopo 90 minuti, a risultato acquisito in realtà non c’è più molto di cui parlare. Chi l’ha giocato lo sa bene. Il resto? Chiacchiere a cui girano intorno molti soldi». E poi racconta un mondo surreale per davvero dove nessuno dice mai quel che pensa, perché ogni opinione detta in pubblico può spostare equilibri e carriere. «Una volta ho detto che mi piaceva un calciatore, e che l’Inter avrebbe dovuto utilizzarlo di più. Tre minuti dopo avevo già un messaggino del suo procuratore che mi ringraziava per averne parlato in diretta».

Questo calcio emoziona ancora Gene? «Poco, per la verità. Mi emozionano certi calciatori però. Il gesto singolo mi emoziona ancora. Ogni tanto mi fisso con un giocatore giovane e lo seguo, lo vado a vedere. Sono un voyeur, diciamo. Mi siedo allo stadio e magari dopo un tocco di esterno di prima faccio oooooh da solo, e la gente non capisce perché».

E le partite le guarda, Gene? «Meno di una volta. In genere mi piacciono gli ultimi 15-20 minuti, quando le squadre si allungano un po’ e si può vedere qualche giocata. Prima è troppo fisico, le partite stanno diventando tutte uguali».

Gene beve decaffeinato in un bar fuori dall’autostrada, a Faenza, suo nuovo quartier generale. È appena tornato da Bologna dove sta provando il nuovo spettacolo teatrale. Il primo in cui si è messo di nuovo nelle mani di un regista, molto ben preso dall’idea di farsi guidare e provare cose nuove. Lo spettacolo si chiama La vita condominiale di Johnny Deep, e già dal titolo promette molto bene. Nello spettacolo Gene è il domestico tuttofare di Johnny, e sa cosa che noi umani non possiamo evidentemente neppure immaginare.

Nel futuro prossimo, oltre al teatro, c’è anche il progetto di tornare a calcare i palchi come banda rock. Per ridere, ma non solo.

La seconda passione molto molto seria di Gene infatti, è la musica. Rock alternativo degli anni d’oro. Specialmente australiano. Cita gli Hoodoo Gurus come se stesse parlando di divinità di un tempo remoto. Sciorina nomi, dischi, date, concerti visti con una chiarezza di vedute che farebbe invidia a molti critici. Dà l’immagine familiare di una persona che non ascolta musica, ma si nutre di musica (buona) come in una quotidiana necessità di tipo alimentare. Ci sentiamo a casa, vien da sé.

Ha anche pronto un programma musicale per la televisione, ancora da piazzare, e un secondo progetto, una sorta di anti-music-awards dedicato al peggio dell’anno. «La cosa che ho capito ai tempi di Perepepè – dice ricordando un suo vecchio esperimento di musica in tv, a cui invitava gruppi sorprendentemente alternativi alle tendenze dominanti – è che un programma musicale deve prescindere completamente dalle etichette discografiche. Sennò non si è liberi, e non si può parlare davvero di musica, e la lista degli ospiti te la fanno loro».

Nell’epoca della massima conformità, Gene non è stanco di pensare cose nuove. Di tendere agguati al format, di fare sgambetti alla banalità del già visto. Ma per un comico quanto sono cambiati modi e tempi in questa fase di indigestione da cabaret televisivo? «La televisione è cambiata moltissimo, ci sono troppe cose e non tutte sono buone, non tutte restano. Ai tempi di Emilio c’era un cast pazzesco (Gnocchi, Silvio Orlando, Teocoli, Faletti, Zuzzurro e Gaspare, Athina Cenci e altri, ndr), autori che scrivevano. Soprattutto c’era l’idea di fare una cosa diversa, che spostasse davvero il pubblico da una rete dall’altra. Ti dirò: sulla qualità della televisione il conflitto di interessi di Berlusconi ha fatto davvero un pessimo effetto. Una volta c’era la concorrenza vera. Un programma di Mediaset aveva lo scopo chiaro di togliere spettatori alla Rai. Poi praticamente è diventato tutto della stessa persona, e allora vedi programmi uguali, format svogliati, meno coraggio. Molta della comicità di oggi è lo specchio chiaro del momento storico di questa nazione».

E in questi tempi di stasi delle energie nazionali quanto posto c’è per idee nuove, per personaggi diversi, per personalità poco allineate? «Poco spazio, perché la mancanza di qualità e di curiosità di chi fa televisione poi rimbalza sul pubblico, il livello scende e tutto diventa al ribasso. Dopo 25 anni di tv faccio fatica io a far passare idee nuove, per un giovane quanto spazio ci può essere?».

Default della qualità e della curiosità peggio del default dell’economia? «Assolutamente sì, il tema centrale di questi vent’anni è proprio questo».

Si parla anche di web, delle sue potenzialità, del tema scottante di come rendere sostenibile per un autore una presenza massiccia in Rete. Gene è ancora molto, molto, molto in movimento. Per il ginocchio si vedrà, ma la visione di gioco è ancora da fantasista d’altri tempi, da applausi. Se ce la fa Zanetti, ce la fa anche Gene.

E sullo sfondo il rock and roll che, come tutti ben sanno, non muore mai.

ANTONIO GRAMENTIERI

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hilà, io sono Alessandro Ancarani. Trascorro quasi tutto il mio tempo libero aspettando che il resto della Redazione si decida a consegnarmi i pezzi da titolare e impaginare sulle nostre amate Orbite Culturali. Mentre attendo, conduco una vita parallela in stile «Sogni mostruosamente proibiti» a base di fotomontaggi. Reprimo una non meglio indagata passione per borsette e scarpe da donna. Adoro le moto e chi è capace di dargli del gas.