Da qualche settimana, Bologna ha un murales in più. Il che non farebbe notizia se non fosse che l’opera è firmata da Blu, cioè da uno dei più importanti e celebrati street artist al mondo, e che il muro in questione è la facciata dell’Xm24, storico centro sociale che ha sede nei locali dell’ex Mercato in via Fioravanti, protagonista di un acceso dibattito perché destinato ad essere demolito secondo il nuovo piano urbanistico della città e del quartiere Navile.
La struttura in questione, fatiscente e passatista, sui suoi muri però conserva significative testimonianze di un movimento artistico, il writing, definito come l’ultima delle grandi avanguardie del Novecento. Non solo l’Xm24, ma l’intera Bologna è stato un centro artistico di primaria importanza per questo movimento, polo attrattivo per tutti i più importanti writer e città nella quale si sono formati artisti tra i più celebrati a livello internazionale: Blu appunto, ma anche Ericailcane, Dado, Rusty, Cuoghi Corsello – per citarne solo alcuni.
Come mai a Bologna il fenomeno del writing ha assunto una tale portata? Interviene Fabiola Naldi, critico e storico dell’arte, tra i massimi esperti in materia, direttrice della Biennale del Muro Dipinto di Dozza.
Per quale ragione Bologna è diventato un centro così importante per il writing?
«Senza dubbio in città c’era un humus particolare, il terreno era pronto perché il writing prima e la street art dopo, vi attecchissero. E per una serie di fattori diversi. In primo luogo a Bologna si era già diffusa, durante la contestazione studentesca, l’idea
di ‘muro’ inteso come medium, come strumento per diffondere un messaggio. In quel periodo, il centro storico era stato pesantemente segnato e ricoperto da scritte e slogan politici di ogni genere. Le origini della diffusione del writing in città però, vanno cercate altrove, nelle periferie, come per esempio il quartiere Mazzini, dove i disagi e i malesseri erano diversi da quelli espressi dai giovani studenti. E se nella periferia di Bologna non c’era lo stesso grado di povertà e di emarginazione sociale che poteva esserci nel Bronx degli anni Settanta, i problemi comunque non mancavano. Sono questi i contesti dove iniziano a muovere i primi passi artistici Dee Mo’ e gli FCE, seguiti da Rusty e Cane Cotto».
Il Dams che ruolo ha avuto?
«Grazie al Dams ar
rivano in città tutti i grandi della scena artistica americana come Crash, Futura 2000, Phase II, Kenny Scharf, chiamati per rendere omaggio all’amica e critica d’arte Francesca Alinovi in occasione della mostra Arte di Frontiera. New York Graffiti. Ma, in generale, a Bologna già c’era una sensibilità artistica e culturale, una trasversalità d’intenti, di ricerche, di sperimentazioni, di osservazioni, d’incontri tra culture diverse che hanno permesso che il fenomeno non solo arrivasse ma anche vi attecchisse. Per esempio, la diffusa attenzione per l’illustrazione e il fumetto o la ricca scena musicale, con il punk, il rock e l’elettronica, sono stati presupposti essenziali perché il writing si diffondesse. Una scena artistica libera e articolata che ha reso Bologna unica e ha fatto entrare la città nel mito».
C’erano anche i centri sociali, come appunto l’Xm24.
«Tra la fine degli anni Ottanta e negli anni Novanta, luoghi come L’Isola del Kantiere, il Livello 57 e il Link, hanno
avuto un ruolo fondamentale, principalmente perché offrivano uno spazio per gli artisti già affermati dove poter lavorare fuori dalla strada, in maniera legale. Erano una specificità di Bologna per la quale tutti i più grandi esponenti del writing e della street art venivano e si fermavano, oltre che per le tipologie estetiche che crescevano sempre più sulla strada e grazie alla strada».
Qual è la differenza tra writing e street art?
«Writing e street art sono due fenomeni che appartengono allo stesso movimento, alla cosiddetta arte urbana – anche se questo termine non è del tutto corretto. Il primo si caratterizza per un’attenzione verso la lettera e la scritta, le tag realizzate con le famigerate bombolette spray, mentre il secondo recupera un dato figurativo, per questo quindi più facile da comprendere e da amare, utilizzando tecniche differenti come gli acrilici, le vernici al quarzo, lo stencil, il poster, gli adesivi e così via. Entrambi però, devono sempre mantenere la stessa immediatezza nel messaggio finale. Devono proporre qualcosa che catturi l’attenzione in maniera immediata, un disturbo di frequenza all’interno della normalità».
Qual è il percorso artistico di Blu?
«Blu ha un percorso di formazione artistica che passa dal mondo dell’illustrazione e di un certo tipo di fumetto. Fin da giovanissimo, come quasi tutti i writer e gli street artist, incomincia a lavorare sui muri, con un atteggiamento di critica e di provocazione tipico dell’adolescenza. Si perfeziona poi a Bologna per studiare all’Accademia di Belle Arti. L’intuizione di legare il suo lavoro al web gli ha poi permesso di far conoscere le sue opere ovunque e di ottenere una fama planetaria».
Cosa ne pensi di questo suo ultimo lavoro dove il bene (il popolo dell’Xm24) e il male (l’Amministrazione comunale) si scontrano in una battaglia apocalittica, dai chiari rimandi tolkieniani, per la salvezza dell’Ex Mercato?
«Amo profondamente Blu e sono molto legata a lui, è un uomo di grande intelligenza. Nel suo ultimo periodo, però, se da un punto di vista stilistico ha raggiunto un livello estremamente raffinato, da un punto di vista contenutistico credo che abbia dato sfogo a dei manierismi quasi scontati e troppo didascalici. Da pubblico meno generico, abituato a conoscere tutti i pregressi, tutti gli incastri che questi artisti hanno avuto nel tempo e nelle esperienze, posso solo osservare che è un lavoro che racconta ovviamente quello che deve raccontare, ma lo fa con una logica più vicina alle facili divisioni tra buoni e cattivi che al giorno d’oggi risultano un po’ anacronistiche».
Non vale la pena di combattere per conservarlo, allora.
«Bisogna chiarire questo punto. Il concetto di conservazione è del tutto annullato per questa forma d’arte. Il loro valore è legato a quello naturale di presenza, fatto di fasi conseguenti: nascita, crescita, invecchiamento e morte. Un decorso naturale, che cambia con la città stessa, ne segue il ritmo evolutivo. Cancellati, nascosti, rovinati, crossati da altri interventi, sono situazioni accettate e assolutamente naturali per loro. Forse i writer sono un po’ più arrabbiati quando gli crossano un pezzo, ma perché tra di loro ci sono delle logiche interne differenti».
Il progetto che stai curando con Claudio Musso, Frontier, dimostra, tra l’altro, come l’Amministrazione comunale non sia così chiusa nei confronti del fenomeno writing e della street art.
«Frontier è un progetto voluto, curato e protetto in tutte le sue parti da due storici dell’arte e da un’artista, il cui obiettivo primario è il recupero e il rilancio del ruolo di Bologna proprio all’interno del mondo del writing e della street art, riproponendo la città come centro di produzione artistica ma anche di riflessione estetica sul fenomeno. In questo, il Comune ci ha aiutato e sostenuto in tutte le fasi. Frontier ha coniugato una parte pratica, che ha visto writer e street artist di tre generazioni diverse, italiani e stranieri, lavorare sui muri di altrettanti condomini, scelti in vari quartieri come Porto, Navile, San Donato e San Vitale, creando un percorso che ripercorre l’evoluzione del movimento; e una parte teorica, un convegno internazionale che è stato ospitato dal MAMbo, e che si è svolto lo scorso febbraio e a cui presto seguirà una pubblicazione edita da Damiani».
Sono previste altre edizioni?
«Pensiamo già a una nuova edizione di Frontier per il 2014, mentre il prossimo settembre si svolgerà la Biennale del Muro Dipinto di Dozza, arrivata alla sua XXIV edizione».