Ron Carter apre il Bologna Jazz Festival

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Un esordio sulle note di una icona del jazz moderno: Ron Carter, che fu il pilastro ritmico del quintetto di Miles Davis nella sua più sensazionale incarnazione, quella degli anni Sessanta, e che da allora ha continuato a bazzicare l’Olimpo del jazz. La sontuosa sonorità del contrabbasso di Carter darà avvio alla decima edizione del Bologna Jazz Festival, che proseguirà poi con la sua lunga maratona di concerti sino al 26 novembre. Tra i teatri di grandi dimensioni, i club della jazz life bolognese e le uscite a Ferrara e San Lazzaro, il festival arriverà a mettere in scena 38 concerti, oltre a numerose iniziative collaterali.

I Foursight sono la più recente incarnazione di una delle due formazioni con cui Ron Carter da molti anni predilige esibirsi: il quartetto senza fiati, che lascia alle sue dita gran parte del lavoro solistico (l’altro organico ‘feticcio’ è il trio con chitarra e pianoforte). Ogni esibizione live di questo gruppo andrebbe riascoltata al rallentatore, per apprezzare pienamente la ricchezza di spunti tematici, di trame ritmiche, di citazioni che si intrecciano come in un vasto affresco. I dettagli hanno una densità tropicale, resa quasi impercettibile dalla finezza esecutiva che conferisce alla musica una grande ariosità.

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Detto ciò, presentare Ron Carter è sin troppo facile, dato che siamo di fronte a uno dei massimi contrabbassisti della storia del jazz moderno. Nato a Ferndale (Missouri) il 4 maggio 1937, Ronald Levin Carter iniziò lo studio del violoncello all’età di dieci anni. Dovette però abbandonare questo strumento nel 1954, cedendo alle pressioni razziali dell’ambiente filarmonico. Passò al contrabbasso e, dal 1959, prese la via del jazz a scapito della musica classica. In fondo, questa fu la sua fortuna. Dopo le prime, e già cospicue, collaborazioni (Chico Hamilton, Eric Dolphy, Randy Weston, Thelonious Monk, Cannonball Adderley…), nel 1963 Carter entrò a far parte del quintetto di Miles Davis e, con esso, di una delle pagine più memorabili della storia del jazz: gli altri membri della band erano Herbie Hancock, Tony Williams e Wayne Shorter. Carter rimase con Davis fino al 1968, incidendo album epocali come Seven Steps to HeavenMy Funny ValentineE.S.P.Miles SmilesNefertitiMiles in the Sky e Filles de Kilimanjaro. Durante questo periodo, Carter divenne il contrabbassista più richiesto della scena jazz, nonché quello più registrato della storia, con oltre mille (alcuni sostengono quasi duemila) dischi a suo credito: con Wes Montgomery, Aretha Franklin, Sonny Rollins, McCoy Tyner, Cedar Walton, Jim Hall…

Dal 1972 in poi Carter ha lavorato frequentemente con formazioni proprie, sperimentando soluzioni ritmico-melodiche e sonorità fuori dal comune. Pur avendo guidato anche delle big band, Carter ha manifestato una predilezione per i piccoli gruppi, nei quali il contrabbasso può assurgere al ruolo di protagonista in situazioni espressive raffinate e cameristiche.

A chiedergli di Miles Davis, Carter ha per molti anni, semplicemente, taciuto. Ora invece dedica un intero concerto alla sua memoria e alle sue musiche: sublime gesto di chi è talmente grande da non temere l’inevitabile confronto con un tanto ingombrante ex leader.

In seconda serata si può fare un salto al Take Five Genuine Music Club per un concerto ’round midnight con il trio del sassofonista Barend Middelhoff.

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24 ottobre – Bologna – ore 21.15 al Teatro Arena del Sole: ore 23 al Take Five Genuine Music Club – info: 334 7560434, bolognajazzfestival.com