Mutati Mutoids

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Strapper, foto di Angela Anzalone

 

Strapper, foto di Angela Anzalone
Strapper, foto di Angela Anzalone

Confesso che sono emozionata. Sto per incontrare Strapper, una delle anime – insieme ai fondatori Joe Rush e Robin Cooke – della Mutoid Waste Company.

La prima volta che ho visto una loro scultura avevo 20 anni ed ero all’ingresso dell’Isola del Cantiere a Bologna, ai tempi dell’Università. Una combinazione fantascientifica di oggetti meccanici riciclati dove immaginario futuristico e decadenza primitiva diventavano la stessa cosa, come in Blade runner o in Mad Max.

Stop al panico era la canzone motto dell’Isola del cantiere. Era un periodo in cui si credeva che l’arte e la controcultura potessero riscattare tutto, anche la politica. Il tempo di una generazione cambia molte cose: nuove visioni e nuove tecnologie. Negli anni ’90 si parlava di era post industriale, nel 2012 viviamo in piena era internettiana.

Entriamo allora a Mutonia, a Santarcangelo di Romagna. L’accampamento sul lungo fiume della Mutoid Waste Company da luogo di appoggio e di lavoro dei primi anni Novanta oggi è diventato un villaggio stanziale. I vecchi camion militari e i container sono diventati piccole case residenziali. Le rose rampicanti sono cresciute sulle facciate. Nel cortile, insieme ai grandi mostri meccanici, sono appoggiati giochi per bambini.

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Al momento sono una ventina le persone che orbitano intorno alla comunità, la maggior parte è inglese, ma sei sono italiani, alcuni hanno anche una famiglia.

Strapper è uno dei più anziani del gruppo e per lavoro viaggia tra Inghilterra, Italia, Giappone e Australia. Trovarlo a Santarcangelo non è facile.

Ha una cinquantina d’anni, una simpatica faccia nordica e lo sguardo acuto.

Quando arriviamo sta aiutando con premura i suoceri inglesi a parcheggiare davanti alla sua casa-officina. Ha una birra in mano.

un'opera di Strapper foto di Angela AnzaloneCi accoglie sotto una tettoia colma di componenti meccanici arrugginiti, ferro, plastica, metalli e grandi sculture assemblate con i parafanghi in plastica delle moto.

Strapper è la memoria storica della compagnia.

Cosa è cambiato dal 1990? La volontà di far cambiare la vita. Quando siamo arrivati a Santarcangelo – spiega – vivevamo, lavoravamo, creavamo e mangiavamo insieme. Avevamo pochi soldi. E tutta la nostra vita era in comune. Anche gli utensili che utilizzavamo per realizzare le sculture erano in società. Da quella situazione di vita sono nate le grandi parate, le feste con gli spettacoli di fuoco. La nostra era un’organizzazione anarchica. Non c’erano capi. E’ stata la vita a cambiare i ruoli e le le relazioni. Ora collaboriamo, facciamo alcuni progetti insieme, ma ognuno si dedica al suo lavoro. C’è chi fa musica, chi workshop con il riciclo di plastica, chi spettacoli con il fuoco, chi con l’elettronica. Io e mia moglie Debs continuiamo a lavorare insieme e ci spostiamo in base a dove richiedono i nostri lavori”.

Ma non a caso siete finiti a Santarcangelo…

Siamo arrivati qui chiamati dal Festival Internazionale di Teatro di Strada. Il sindaco di allora ci permise di rimanere in questo campo lungo il fiume. Per noi, che da tanti anni eravamo nomadi, avere un punto di riferimento dove lavorare e parcheggiare i nostri lavori cominciava a diventare importante. Prima dovevamo sempre ricominciare da capo ad ogni spettacolo perchè le grandi sculture non potevamo portarle appresso”.

Il paese come vi accolse?

Incredibilmente, con molto affetto. Eravamo strani, ma tutti ci aiutavano e ci portavano oggetti che altrimenti avrebbero lasciato in discarica. Questa collaborazione era fondamentale per il nostro lavoro. Ora invece lavorare con i rifiuti è diventato sempre più complicato. E’ diventato un business e il nostro lavoro è più difficile. Trovare pezzi meccanici gratuiti, o a un buon prezzo, da Hera è impossibile. Così nel nostro lavoro sono cambiati anche i materiali. Usiamo molta più plastica”.

E prima di Santarcangelo?

A Londra i Mutoid sono nati alla metà degli anni Ottanta. Un movimento di controcultura contro la politica della guerra fredda di Reagan e della Thatcher, quando si pensava che bastasse pigiare un bottone rosso per distruggere il pianeta. Eravamo gruppo anarchico che come forma di protesta organizzava enormi rave party. Ora i rave vengono associati allo sballo e alle droghe. Allora le nostre feste erano dei veri e propri spettacoli di strada. Impiegavamo anche un mese per organizzarne uno. Arrivavamo con il nostro Skull Bus e cominciavamo a costruire le sculture con il materiale di riciclo che trovavamo sul posto. A Londra avevamo una specie di campo base con una collezione di mezzi militari, tra cui anche un Mig 21, un jet da guerra russa. Ad un certo punto la Thatcher ha vietato i rave e nel 1989 ha chiuso il nostro campo base a King’s Cross. Così da allora il gruppo è diventato nomade. Abbiamo viaggiato tra Berlino, la Spagna, Italia, Australia. Anche se poi una base a Londra l’abbiamo sempre tenuta”.

La vostra estetica e filosofia di arte e di vita è molto originale. Negli ’90 era all’avanguardia. Prendevate ispirazione dal punk?

La nostra arte voleva andare contro ad un muro di pigrizia. Invece che aspettare che la gente venisse da noi, andavamo noi con i nostri mezzi con le nostre opere in mezzo alla gente. E questo ce lo ha insegnato il punk”.

L’ultima parata di strada della Mutoid Waste Company è stata fatta nel 2000 proprio a Santarcangelo. E con la fine degli anni Novanta e’ finita anche la loro forza di rottura. Oggi la loro arte ha fatto storia ed e’ ormai istituzionalizzata: alcune delle loro opere, in aprile, sono state esposte al Fuori Salone di Milano. Ma di quegli anni rimane un’estetica che ha fatto scuola, uno stile di vita nomade e una filosofia di vita ecologica. E il campo di Santarcangelo: un museo all’aria aperta, un pezzo di storia della cultura europea.